Vai al contenuto principaleVai al footer
logo Istituto di Neuroscienze
Sport
- 19 luglio 2022

Commozioni Cerebrali nello Sport e l’Encefalopatia Traumatica Cronica

Scopri i possibili effetti negativi sul cervello delle commozioni cerebrali nello Sport e quali metodi possono essere applicati per prevenirli e ridurli.

Già nel Luglio del 2019, il Prof. Stefano Pallanti aveva affrontato il tema delle lesioni cerebrali nei professionisti dello sport in un articolo che prendeva spunto dalla tragica scomparsa di un grande calciatore della Fiorentina. In seguito alle recenti confessioni di due noti rugbisti internazionali riguardo ai gravi problemi di salute che si trovano ad affrontare alla fine delle loro carriere, questo argomento è di estrema attualità. Riprendendo parte di un testo inizialmente pubblicato sulla nostra rivista Firenze Neuroscienze, approfondiremo ulteriormente questa importante tematica.

Rugby, Ryan Jones e la diagnosi di demenza a 41 anni: «Il mio mondo sta andando in pezzi» ― Corriere della Sera

Lo studio: un grave trauma cranico favorisce l’insorgere della demenza – CTE e demenza, il rugbista inglese James Graham dona il cervello alla ricerca ― Corriere della Sera

Calcio: un fattore di rischio per la demenza?

Un campione della Fiorentina è scomparso a causa delle conseguenze di un insolito disturbo neurologico caratterizzato da grave decadimento cognitivo. Questa malattia lo ha tormentato per 8 anni, privandolo progressivamente delle sue capacità cognitive e linguistiche.

Per tentare di spiegare la causa di questo decesso terribile, in diversi hanno notato somiglianze con una condizione nota come demenza fronto-temporale, malattia simile alla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), conosciuta anche come la malattia di Lou Gehrig, celebre giocatore di baseball il cui caso attirò l'attenzione pubblica nel 1939.

La SLA ― detta anche malattia di Charcot ― è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni. Una delle teorie sull'origine di questa terribile malattia suggerisce che il contatto abrasivo con il terreno di gioco potrebbe costituire un fattore di rischio, creando condizioni favorevoli allo sviluppo di forme infettive rare e a lento sviluppo, tra cui i cianobatteri. In effetti, Lou Gehrig nel corso della sua carriera nel baseball era spesso esposto ad abrasioni causate dal terreno di gioco e si ipotizza che questa esposizione possa aver favorito la trasmissione di microbi patogeni. Potrebbe essere questa la spiegazione alla base del disturbo neurologico che ha causato la morte del campione della Fiorentina? È una delle ipotesi.

Altre ipotesi hanno invece indicato l'abuso di alcuni farmaci consentiti in passato ma ora vietati come possibile causa del decesso del campione della Fiorentina. Altri ancora hanno suggerito che alla base del disturbo neurologico presentato dal campione deceduto potrebbe esservi un uso massiccio di raggi Roentgen utilizzati per trattare la Pubalgia, un disturbo comune tra i calciatori.

Nonostante le diverse teorie proposte avanzate, sembra quasi esserci riluttanza nel considerare seriamente l'ipotesi che lega l'attività sportiva calcistica alla Demenza fronto-temporale, condizione patologica spesso associata all'esposizione a traumi cranici ripetuti come quelli che possono verificarsi negli sport di contatto. La comunità scientifica e quella sportiva dovrebbero invece approfondire questa questione per comprendere meglio i rischi connessi alla pratica del calcio e prendere misure preventive appropriate.

Il collegamento tra Traumi Cranici e Malattie Neurodegenerative

Al di fuori dell'Europa ― dove il Calcio non rappresenta un'istituzione pressoché intoccabile ― e in particolare negli Stati Uniti, molti studi hanno già ampiamente documentato il collegamento tra traumi cranici ― anche quelli di lieve entità ma frequenti ― e lo sviluppo di patologie neurodegenerative, come la Demenza fronto-temporale.

Per esempio, esiste ormai un'infinità di dati scientifici che supporta la correlazione tra il Football Americano professionistico e danni cerebrali a lungo termine, ipotesi sempre più confermata da studi recenti. Alcuni potrebbero obiettare dicendo che "Il football americano è un gioco completamente diverso, molto più violento rispetto al calcio". E nonostante ciò sia sicuramente vero, per quanto riguarda i traumi cranici le differenze potrebbero non essere così significative.

Importanti ricercatori dell'Università di Boston hanno esaminato 111 cervelli di ex giocatori della NFL (National Football League) sottoposti a traumatismi cranici "normali", ovvero senza perdita di coscienza o commozioni cerebrali evidenti. Dai dati ottenuti dalle analisi condotte su questi cervelli, è emerso che ben 110 di questi cervelli mostravano segni di encefalopatia traumatica cronica (CTE), una malattia degenerativa del cervello associata ai ripetuti colpi alla testa. Accedi all'articolo completo ➜

Questi tipi di traumi potrebbero essere rilevati anche durante il corso della vita, permettendo di identificarli precocemente e mettere in atto le necessarie misure preventive per evitarne i danni a lungo termine. Un metodo efficace per identificarli sarebbe rappresentato dalla Risonanza Magnetica, ma è stata avanzata anche l'ipotesi di utilizzare una proteina rivelatrice, chiamata CLL11, come possibile marcatore della presenza di un processo degenerativo simile all'invecchiamento precoce nel cervello.

Fortunatamente, anche nel Calcio, si sta sempre più diffondendo la consapevolezza dei potenziali danni derivanti da colpi alla testa, non solo da impatti diretti con il pallone, ma anche da scontri con altri giocatori, spesso frequenti in situazioni come i calci d'angolo.

Danni Cerebrali causati dai Colpi di Testa

Dai risultati ottenuti in una ricerca effettuata presso la Purdue University emerge che i calciatori che colpiscono ripetutamente il pallone con la testa durante le partite o gli allenamenti subiscono danni ai piccoli vasi sanguigni che irrorano il cervello, i quali richiedono tempo e riposo per rigenerarsi.

Considerando la frequenza delle partite a cui molti calciatori sono sottoposti, questo aspetto dovrebbe essere preso in seria considerazione. Inoltre, è importante notare che il pallone da calcio non è leggero, e chi ha sperimentato l'impatto di un colpo di testa può confermare quanto possa essere impegnativo. I ricercatori della Purdue University hanno evidenziato che l'urto generato da un pallone calciato durante un calcio di punizione può essere paragonato a quello subito nel football americano o a un pugno inferto in un incontro di boxe.

Il collegamento tra il Calcio e l'Encefalopatia Traumatica Cronica

Alcuni ricercatori dell'University College di Londra hanno recentemente pubblicato sulla rivista Acta Neuropathologica i risultati di un pionieristico studio sulla CTE (Encefalopatia Traumatica Cronica) specificamente nel calcio. Il loro esame dei cervelli di sei calciatori professionisti ha rivelato la presenza di segni di Alzheimer, con quattro di essi che mostravano anche il tipico accumulo di proteine legato alla CTE. L'autrice principale dello studio, Helen Ling, ha sottolineato in un'intervista: «Questa è la prima volta che la CTE viene confermata in un gruppo di calciatori in pensione; i nostri risultati suggeriscono un potenziale collegamento tra la pratica del calcio e lo sviluppo di patologie cerebrali degenerative in età avanzata.»

Questi dati sono ulteriormente supportati da un altro studio inglese pubblicato nel 2017 e condotto su un gruppo di 14 calciatori in pensione affetti da demenza, rintracciati tramite osservazione prospettica condotta sino al 1980. In seguito alla morte di alcuni di questi ex-calciatori, sono state condotte analisi post-mortem sui loro cervelli che hanno portato alla luce prove significative della presenza di CTE nella maggior parte di essi.

Sebbene le cause dei risultati osservati non siano ancora chiaramente definite dal punto di vista scientifico, l'incremento di casi simili suscita legittime preoccupazioni tra i giocatori riguardo alla possibile relazione tra il calcio e l'insorgenza di malattie cerebrali a lungo termine.

Negli Stati Uniti, dove il football americano (sport notoriamente più violento del calcio) è maggiormente diffuso, la consapevolezza su questo fenomeno è più alta. Infatti, le famiglie dei giocatori professionisti di football americano, preoccupate per la salute mentale dei propri cari, spesso donano i loro cervelli per scopi di ricerca. In questo modo è stato possibile finora analizzare ben 425 cervelli, in 270 dei quali è stata diagnosticata l'encefalopatia traumatica cronica.

Ricerche simili condotte in modo così esteso sul calcio purtroppo non esistono ancora allo stato attuale della letteratura. Tuttavia, molti ricercatori ritengono che siano proprio i colpi di testa ripetuti e meno violenti, piuttosto che i singoli traumi cerebrali più evidenti, a scatenare la CTE.

Problemi Cognitivi causati dai Colpi di Testa

Presso la Albert Einstein College of Medicine, Scuola presso la quale il Prof. Stefano Pallanti ricopre il ruolo di Professore Onorario, il collega neuroscienziato Michael Lipton ha identificato ciò che potremmo definire il "trigger" nel calcio e afferma: «Nel calcio, in cui i giocatori colpiscono ripetutamente la palla con la testa, la domanda chiave è: quanti colpi/traumi e quanto tempo servono per provocare una patologia con evidente declino clinico nelle funzioni cognitive?». Al fine di rispondere a questa domanda, Lipton ha seguito un gruppo di circa 400 giocatori di calcio amatoriale a New York, coinvolgendoli nello studio denominato "Einstein Soccer Study".

Inizialmente, è stata effettuata una scansione cerebrale dei partecipanti tramite Risonanza Magnetica con tensore di diffusione (una modalità di imaging che consente di mappare i cambiamenti nella sostanza bianca del cervello con grande precisione) e un esame del sangue specifico, seguiti da una serie di test volti a misurare le abilità cognitive dei partecipanti. I risultati dello studio, pubblicati nel 2013 rivista Neuroradiology, hanno rivelato che i normali colpi di testa ripetuti, anche in assenza di una commozione cerebrale, sono associati a problemi cognitivi e a cambiamenti fisici nella struttura del cervello.

In media, i giocatori di calcio toccano la palla di testa da 6 a 12 volte a partita. Tuttavia, alcuni giocatori possono effettuare decine di colpi di testa per partita, a seconda del loro ruolo o del tipo di gioco, magari cercando di deviare palloni che viaggiano a velocità fino a 80km/h, anche non a livello agonistico in partite amatoriali. I piccoli traumi derivanti dai colpi di testa ripetuti possono accumularsi. Lo studio condotto da Lipton suggerisce che i problemi iniziali legati alla memoria possono iniziare a insorgere dopo circa 1800 colpi di testa. Nonostante questo studio abbia coinvolto in maniera sistematica e completa solamente 37 giocatori, i risultati ottenuti sollevano legittime preoccupazioni.

Gli obiettivi della ricerca futura

Purtroppo, come osservato dal Prof. McKee del CTE Center presso la Boston University, al momento l'unico metodo per diagnosticare la CTE è attraverso un'autopsia del cervello post-mortem. Ciononostante, si sta esplorando la possibilità di utilizzare una proteina marker da testare nel sangue o nelle urine, così aumentando le possibilità di diagnosticare tale malattia nel corso della vita ed essere quindi in grado di intervenire precocemente.

NEUROSCIENZE PER LO SPORT

Allenare il cervello per una migliore performance: Come le neuroscienze possono migliorare la prestazione sportiva

Lo sport e le prestazioni agonistiche rappresentano un campo fertile di indagine e di azione per l’applicabilità delle neuroscienze.

Presso il Centro di Neuroscienze per la Salute della Zucchi Wellness Clinic, il Prof. Stefano Pallanti e i suoi collaboratori applicano le Tecniche di Neuromodulazione per incrementare le potenzialità del cervello e facilitare il raggiungimento di obiettivi sportivi.

Azioni Chiave per la Prevenzione e la Cura

L'occasione del Prof. Stefano Pallanti di lavorare presso la Sport Psychiatry di Stanford in collaborazione con i giocatori dei San Francisco 49ers della NFL gli ha consentito di accentuare la propria personale sensibilità su questo problema. Per questo motivo, si è quindi iniziato a porre la seguente domanda: Cosa possiamo fare al riguardo?

  • NON NEGARE IL PROBLEMA: La negazione del problema non rappresenta mai una soluzione. Iniziare a prendere seriamente in considerazione il problema su larga scala rappresenterebbe già un grande passo in avanti.

  • INFORMARE: Una delle prime azioni chiave è quella di informare tutti coloro coinvolti nel settore, inclusi giocatori, dirigenti e professionisti medici, dei rischi associati non solo ai traumi cerebrali evidenti ma anche ai colpi di testa ripetuti.

  • PREVENIRE: Sarebbe anche opportuno prendere in considerazione l'idea di introdurre caschetti specifici simili a quelli utilizzati nel pugilato per la protezione dei giocatori più giovani che si avvicinano allo sport calcistico.

  • MONITORARE: Inoltre, è essenziale monitorare il funzionamento del cervello non solo con esami di imaging tradizionali come la TAC o la RMN, ma anche attraverso test neurofisiologici, EEG quantitativo, risonanze magnetiche a tensore di diffusione e indagini vascolari. In associazione a ciò, sarebbe importante monitorare le capacità di attenzione dei giocatori, il cui andamento nel corso del tempo potrebbe essere correlato al problema.

  • INTERVENTI PRECOCI: Altrettanto importante è essere in grado di intervenire precocemente per la riabilitazione delle funzioni cognitive deteriorate, con tecniche come la Photo-Bio-Modulation, il Neurofeedback e altre tecniche capaci di accelerare il recupero funzionale e ridurre i danni vascolari a lungo termine.

Per raggiungere questi obiettivi, l'Istituto di Neuroscienze ha messo a punto e sviluppato il Servizio di Salute Comportamentale e della Performance, con l'obiettivo di informare e dare potere alle persone attraverso l'empowerment, fornendo loro informazioni utili per la protezione della loro salute e quella dei propri cari.

Ultime News